Gli Investigatori

  • Alexander Blake, ventisei anni, investigatore privato riservato e riflessivo.
  • Ellen Lawliet, ventiquattro anni, studentessa della Miskatonic University con un difficile passato.
  • Janet Holmes, venticinque anni, archeologa forte e determinata.
  • Lilyan Aidil, vent'anni, affascinante e sensibile attrice di teatro.
  • Monsignor Giraud des Chateaubrien, l'autorevole e risoluto arcivescovo cattolico di Arkham.

venerdì 4 dicembre 2009

Teatranti da piazza

Jeremiah Langley stava riponendo il suo violino nel suo sacco imbottito per tornare nel suo misero appartamentino nella periferia di Salem, ma non riusciva a smettere di lanciare occhiate cariche di rancore nei confronti del capo del suo piccolo gruppo di teatranti, che si era appena esibito nella piazza principale di Salem.
“Stronzo bifolco” pensava, mentre l’anziano parlottava amichevolmente con la bella ragazza che gli si era accostata; portava lunghi capelli mori pettinati all’indietro, ed un pregiato vestito da passeggio con tanto di cappellino abbinato. Sembrava una di fuori, non della cara Salem. Non una completa straniera, aveva l’accento della Costa, su quello non c’era dubbio. Forse era di più a nord; non di Innsmouth, di sicuro. Forse di Arkham.
Ma la sua attenzione non era per quella bellissima ragazza, e neppure per ciò che diceva. Il problema era che quel maledetto del capogruppo, quel Jack, si burlava di cose troppo grandi per lui. Raccontava a bocca sciolta troppe cose, troppi segreti; già era tanto farci uno spettacolo, figuriamoci andare in giro a fare la guida turistica alle signorine per bene venute da fuori… la leggenda di Keziah Mason e Goody Flower non era cosa da essere presa alla leggera, dannazione. Jeremiah aveva accettato di suonare nel gruppo folkloristico della città, che di tanto in tanto metteva in scena degli spettacoli di racconto musicale con la melodia del violino in sottofondo, perché pensava che fosse giusto per onorare la memoria di quelli che avevano impiccato le streghe di Salem nel 1692. Abitava a Salem da tutta la sua vita, cinquantacinque anni appena compiuti; so padre era di lì, suo nonno lo era, persino il suo trisavolo. Qualcuno diceva fosse stato un Langley ad avere le chiavi del carcere per tutto il periodo del famoso processo; figurarsi se non gliene importava, di una cosa tanto importante.
“Arrivederci” disse cortesemente la dolce ragazza, stringendo delicatamente la mano di Jack; si voltò tirandosi su la gonna del bel vestito, e prese a camminare veloce verso l’uscita dalla piazza. Jeremiah la osservò da lontano; si muoveva parlando con i suoi amici che l’avevano accompagnata. Poi l’anziano tornò a guardare Jack, e pensò di andargli a dire due parole nonostante sapesse bene che Jack non credesse a tutte quelle storie sulla fuga della vecchia Keziah ad Arkham. Poi lasciò perdere. Ma poi non poté fare a meno di pensare:
“Che si fotta, è lui quello che rischia di cadere nei tranelli del Diavolo!”.
Jeremiah si voltò tenendo la sacca del suo violino in mano e a lunghi passi s’incamminò verso un viottolo che correva parallelo alla via principale, per cui si era incamminata la ragazza con i suoi amici. Mani in tasca, sacca in spalla, l’anziano si muoveva fra le antiche case di Salem passando in rassegna le loro facciate storiche fatte di legno e pietra; legno e pietra che sudavano sangue, costruite dai Padri Pellegrini con immensi sacrifici e tristissime rinunce circa duecento anni prima quando dall’Inghilterra erano fuggiti del Massachussets. Sangue, pietra e legno: la loro storia. Per moltissimo tempo i suoi antenati avevano sfruttato quella terra, l’avevano piegata e ne avevano fatta un luogo che sarebbe piaciuto all’Onnipotente, ma anche lì i germi del Diavolo erano venuti fuori. La verità era che il Diavolo abitava diverse zone del Massachussets, la loro terra, e che c’erano le prove di questo. Fuori città potevano anche aver costruito i primi grattacieli, e la ferrovia poteva essere stata ampliata, ma ciò non cambiava nulla.
“Si ragazza mia” aveva detto quel bifolco di Jack alla ragazza del nord. “A Salem c’erano le streghe, e questa è la storia della vecchia Keziah Mason, e di Goody Flower, che venne giustiziata ad Arkham sulla Collina dell’Impiccata!”.
Pensando al tono di voce con cui Jack l’aveva detto, così allegro, così aperto, così gioioso, così dannatamente turistico, la paura di Jeremiah Langley aumentò e lui dovette fermarsi e sostare contro la parete del vecchio negozio degli Winston; sentì il bisogno profondo di dover fare qualcosa. Si chinò, e con l’indice della destra cominciò a incidere la terra smossa sul ciglio della strada. Pregava; la vecchia ode a San Giorgio. E piangeva, Jeremiah Langley, piangeva. Non c’era da ridere sulle streghe di Salem, proprio nossignore. Avevano corrotto le bambine, quelle innocenti creature, e le avevano fatte diventare anche loro indemoniate. Ciò fino al 1692, anno del sacrosanto processo.
Il suo dito agì da solo, e in un baleno segnò per terra l’unico simbolo che conoscesse e che potesse difenderlo dal Malocchio. Pregò San Giorgio; il vento freddo della sera d’ottobre lo sorprese alle spalle, sollevandogli le vesti e i capelli. Un brivido infernale lo scosse, strinse i denti per non lasciarsi andare per terra e rimanere in preda al panico. Avrebbe urlato, avrebbe scosso il suo corpo per scacciar via le fiamme dell’inferno che, era certo, lo avrebbero attanagliato di lì a poco. Sapeva che a Salem le cose non andavano; non andavano per nulla. La gente non diceva ma sapeva, cazzo. Sapeva che aveva avuto in passato quella Storia, e non c’era modo, per nessuno, per cancellarla. Gli studiosi, i cervelloni di New York, Philadelphia, Boston, avevano detto che tutta la storia delle streghe era una fandonia e che c’erano altre spiegazioni; la chiamavano isteria.
Porcate. A Salem le cose si sapevano bene; c’erano state le streghe, in città, che avevano portato la corruzione del Male. E questo nessun cervellone avrebbe potuto negarlo. Diec’anni prima c’era stata la Guerra in Europa, che aveva portato nella tomba metà dei ragazzi della città, e poi le pestilenze, e le malattie, avevano sempre portato sfortuna sulla popolazione. E questo lo sapeva, lo sapeva bene tutta la città. Anche se non voleva riconoscerlo.
***
Quand’ebbe finito, si riprese e ripartì verso casa sua con la certezza che una delle buone cene di sua moglie Beth avrebbe fatto passare tutto. Jeremiah rientrò così nella sua cucina, con l’anziana moglie che finiva di preparare la cena. L’odore era buono e Beth sempre dolce e sempre tenera, che voler di più?
“Abbiamo una bella notizia, caro” disse, venendogli incontro a braccia spiegate.
“Un’altra?” chiese lui, sorridendo. La prima era stata il fatto che la visita dal medico del giorno prima, che aveva fatto per sapere se si fosse ripreso dalla malattia che l’aveva tenuto a letto per mesi, aveva rivelato che il signor Langley non era mai stato tanto bene come allora. Arrivò la seconda, dalla bocca della moglie:
“La nostra Lucy e suo marito aspettano un altro bimbo, amore mio!”.
Il corpo anziano di Jeremiah Langley superò sé stesso, cingendo il corpo della sua Beth e quasi sollevandola da terra nell’abbraccio. La strinse a sé, la baciò con un ardore molto vicino a quello che li aveva animati quando erano giovani. Tutto quell’ardore era per la sua famiglia, e per la certezza di poter stare un altro po’ con loro, in felicità.
Un altro piccolo. Un altro cucciolo da tenere sulle ginocchia. Che meraviglia. Mangiò la zuppa con calma, rallegrandosi della notizia. Avrebbe voluto correre a casa di sua figlia e del genero per fare di persona le congratulazioni. Ci sarebbe andato la mattina dopo, di sicuro. Intanto, gioiva. Appena mangiato, la stanchezza lo prese. S’infilò subito il freddo pigiama, s’infilò presto sotto le coperte del letto matrimoniale, stremato ma felice. Sua moglie rimase giù in salotto, a filare, intonando una delle nenie che appartenevano al tempo in cui Lucy era piccola e loro dovevano cantare per farla dormire, anni prima. Jeremiah non pensò più a Keziah Mason e a Goody Flower, né alla città; non poteva farlo, era troppo felice. Sapeva di essere l’ultimo a crederci ancora, ma per quella sera non ce n’era bisogno. Voleva credere solo alla bella notizia che aveva sentito e al fatto che i medici gli avevano assicurato che avrebbe avuto ancora un bel po’ da vivere.
***
Quella notte, dormì tranquillo. Non si accorse degli occhi che lo spiavano dalla finestra della camera che dava sul vialetto nel retro; occhi di una creatura centenaria, un tempo umana. Occhi crudeli e malvagi. Occhi che guardarono là dentro solo per accertarsi di non aver sbagliato bersaglio. Nessuno sa cosa fece l’anziana creatura dagli occhi di vecchietta, ma malvagi. Tutti, però, il giorno dopo, seppero che Jeremiah Langley era morto nel sonno.

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